Donne patrimoni viventi in Terra d'Otranto

La nostra ricerca antropologica ha voluto indagare la condizione femminile del ‘900 in Terra d’Otranto toccando vari paesi: Acquarica Del Capo, Castrignano Del Capo, Castrignano dei Greci, Castro, Corsano, Cutrofiano, Gagliano Del Capo, Ortelle, Presicce, Salve, Tiggiano, Tricase, Ugento e Vitigliano. L’arco di età di queste donne va dai 68 ai 100 anni.

Una condizione femminile indagata partendo dalla ricerca antropologica, una ricerca che per noi è permanente per dare un senso al nostro presente in un contesto odierno caratterizzato da evanescenza della memoria in cui la civiltà spesso è incosapevole della sua storia.
Nella nostra ricerca l’antropologia è quella delle classi popolari (casalinghe, contadine, tessitrici, ricamatrici) ma anche delle classi medio-borghesi (insegnanti, dirigenti scolastici, imprenditrici…). Un agire antropologico, il nostro, basato sull’attenzione al minimo, al locale, al frammento. Per noi risulta importante un volto, uno sguardo, un gesto, un rapporto tra le persone, un oggetto domestico, dettagli che per altri sarebbero insignificanti e che invece definiscono un esserci-nella-storia della gente comune.
Quando siamo entrati nelle case delle testimoni privilegiate, in realtà noi siamo stati privilegiati perché le 20 donne non sono state un meccanismo attraverso cui reperire informazioni, ma si è trattato di un nostro entrare in relazione in maniera più profonda.
Maria Bleve, Marcella Castriota, Assunta Ciardo, Annunziata Ciriolo, Lucia Ciriolo, Immacolata Ciriolo, Rosa Comi, Addolorata Cordella, Claudia De Blasi, Iolanda Ferramosca, Annunziata Fersini, Eleonora Maggio, Apollonia Martella, Maria Monte, Maria Verardo, Maria Serena Iazzetti, Assunta Piscopiello, Maria Teresa Sammali, Pina Schifano, Vincenza Troisi: ogni testimone è un patrimonio dell’umanità perché le memorie che custodisce raccontano la sua storia di vita – che è anche una storia familiare, sociale, culturale, “nazionale”, locale e globale –, ci permettono di osservare un percorso, individuale e collettivo insieme, esemplare ai fini della comprensione di una determinata fetta di umanità, protagonista di quelle che definiremmo epoche culturali, oltre che storiche. Infatti, proprio a partire da Maurice Halbwachs si dimostra come i processi individuali di memoria sono inevitabilmente plasmati da una dimensione collettiva e hanno a che fare non solo con eventi psichici ma anche con pratiche sociali e culturali.
Quando entriamo in punta di piedi in un terreno di ricerca, teniamo ben impressa nella mente la frase dell’antropologo Satriani: «ogni essere umano è un patrimonio dell’umanità» – perché ci spinge a considerare ogni persona che incontriamo non un mero oggetto della ricerca, ma una fonte inesauribile di saperi e pratiche incorporate, le declinazioni di una cultura, che come etnografi dobbiamo raccogliere, annotare, registrare ed anche esperire.
Le loro rughe, le loro mani, le loro voci, le loro storie denunciano la fatica che hanno vissuto prima del passaggio da un mondo di fame a un mondo di benessere, per cui il nostro impegno intellettuale e scientifico verso gli strati della popolazione emarginati, subalterni, è un impegno capace di provocare e favorire prese di coscienza individuale e collettiva.
Questa realtà di fatica, di miseria e sfruttamento socio-culturale deve essere documentata dagli ultimi rimasti per essere conosciuta e smascherata da chi la copre da fini politici di business offrendo e spettacolarizzando un mondo contadino all’insegna del folklore, delle tradizioni culinarie e coreutico-musicali mentre per chi l’ha vissuto era sostanzialmente fame e disperazione. Ad esempio abbiamo chiesto alle testimoni i ricordi della propria casa d’infanzia e nella maggior parte dei casi non si possono definire oggi abitazioni perché erano prive dei più elementari servizi (acqua, bagno, luce elettrica)… Spesso poi la precarietà economica ricadeva anche sulla mancata possibilità di un’istruzione scolastica dando vita a quella che l’antropologa Annabella Rossi definiva come “Cultura della miseria”.
Le tematiche emerse sono innumerevoli: famiglia, giochi, lavoro, narrativa popolare, tradizione orale cantata, cucina e pratiche alimentari, ricette, fidanzamento, corteggiamento, matrimoni, scuola, emigrazione, corredo, occasioni cerimoniali, incidenti sul luogo di lavoro, usi e costumi, politica, guerra. Sono pezzi di puzzle che ci consentono di ricostruire la microstoria di paesi del Mezzogiorno.
Per quanto riguarda le tecniche di ricerca, la documentazione audio-visiva nelle ricerche antropologiche è fondamentale perciò tutte le 20 storie di vita sono state registrate attraverso una videocamera e si è pensato poi di coinvolgere un fotografo, Giorgio Montanaro, in quanto anche la fotografia è un metodo di ricerca e al tempo stesso documentazione antropologica.

Un patrimonio che abbiamo salvaguardato e valorizzato perché rappresenta la memoria locale delle microcomunità salentine e che va tramandato alle future generazioni affinché la vita di queste donne non si perda nell’oblio del tempo. Documentare è un momento conoscitivo di base e imprescindibile nel settore demoetnoantropologico; le testimonianze raccolte e i materiali audiovisivi reperiti sono stati digitalizzati e fanno parte dell’archivio “Liquilab – Bottega di Memorie e Identità Giovanili”.

*". Raccontare la vita di queste donne significa preservarne la memoria. La nostra missione, prima di tutto umana e poi culturale, è quella di impedire che il tempo ne cancelli l’esistenza. In generale la storia di questa terra poggia sulla storia di ogni singolo individuo che l’ha popolata rendendola fertile e feconda. Una culla di saperi che non possono perdersi nelle maglie del tempo”.

Il 6 Agosto 2023 le 20 storie di vita femminili hanno preso vita in “Panni de vinti”: una mostra visuale e video-arte organizzata da Liquilab, dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale - Ministero della Cultura e OpenLab Company nella suggestiva cornice di Rione Puzzu in via Catalano, Tricase.
Alla serata sono intervenuti:

  • la Vice Direttrice Stefania Baldinotti dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del Ministero della Cultura,

  • la Resposabile della Fotografia Francesca Fabiani dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero della Cultura,

  • il prof. Eugenio Imbriani dell’Università del Salento,
    la presidente dell’associazione Ornella Ricchiuto (responsabile della ricerca), presentando un video riassuntivo della ricerca e restituendo il lavoro

  • il fotografo Giorgio Montanaro raccontando la sua esperienza di fotoreportage durante il progetto,

  • Francesco De Melis, etnomusicologo dell’Università della Sapienza di Roma, con “Visione orale”,

  • OpenLab Company, con Videomapping sulle donne intervistate.

La memoria è un bene indispensabile come un seme che possiamo custodire, cogliere e far fruttificare e quindi ogni memoria del singolo dovrebbe essere rispettata come se fosse un patrimonio dell’umanità.

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